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CRISTIANESIMO E CHIESA CATTOLICA

Ultimo Aggiornamento: 15/02/2016 17:26
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25/07/2008 19:56


Renato Pierri "La sposa di Gesù crocifisso. Il calvario di Gemma Galgani, condannata alla santità in nome di un falso Dio" - Kaos Edizioni 2001



Gemma Galgani nacque il 12 marzo 1878 a Borgonuovo di Camigliano (Lucca) dalla religiosissima signora Aurelia a da Enrico Galgani, farmacista, il quale ben presto decise di trasferirsi con la numerosa famiglia (Gemma era la quinta di otto figli) a Lucca, città che gli avrebbe garantito guadagni maggiori e un migliore tenore di vita. Dai due ai sette anni Gemma frequentò il semiconvitto delle sorelle Vallini che inculcarono alla piccola una religiosità quasi parossistica: erano i peccati come i suoi a provocare le gocce di sangue sul volto di Gesù, erano le persone cattive come lei a lacerare a Cristo le mani, i piedi e il costato e, di conseguenza, ogni volta che Gemma toccava il proprio corpo Gesù soffriva di nuovo le atroci pene che aveva patito sulla croce. Questi "insegnamenti" portarono la piccola a rifiutare persino i baci del padre e qualsiasi manifestazione fisica di affetto. Dopo la morte della madre in seguito ad una lunga malattia, la bambina entrò nel convitto delle Oblate dello Spirito Santo, un ambiente opprimente e ossessionato dal peccato che aggravò la situazione psicologica già precaria di Gemma. Dopo la prima comunione all'età di nove anni, un evento importantissimo per lei in quanto rappresentava la liberazione da tutti i peccati con i quali fino ad allora aveva offeso Gesù, la garanzia di non cedere più alle "un po' sudice tentazioni" e la certezza di evitare l'inferno, Gemma, che considerava un dogma la peccaminosità del proprio corpo, maturò una isterica repulsione per le "tentazioni della carne" e una vera ossessione per il Cristo sanguinante e agonizzante sulla croce, fino a convincersi di essere la sua "sposa" e a decidere di rifiutare qualsiasi contatto con il genere maschile facendo voto di castità. Dopo qualche anno morì il fratello che lei amava più di tutti, Gino, e le condizioni psicologiche di Gemma peggiorarono: aveva delle visioni e supplicava il suo sposo Gesù di procurarle qualche malanno fisico. Quando un giorno le si rovesciò addosso una pesante panca colpendole un piede, Gemma si convinse che il Signore avesse esaudito le sue preghiere: l'arto colpito si infettò e fu necessario un dolorosissimo intervento chirurgico che la ragazza affrontò senza anestesia perché voleva soffrire il più possibile per soddisfare il suo bisogno di punirsi e perché non voleva che il suo corpo immacolato, che apparteneva solo a Gesù, venisse denudato e sottratto alla propria sorveglianza. In seguito alla morte del padre e alla chiusura della farmacia, Gemma si trasferì a Camaiore dagli zii, aiutandoli nel loro negozietto. Essendo una ragazza molto bella, ben presto arrivarono delle proposte di matrimonio che la gettarono nello sconforto più nero: non poteva accettare di avere accanto a sé un uomo, il suo corpo apparteneva solo a Gesù. I suoi tormenti la portarono ad ammalarsi e dovette tornare a Lucca. Soffriva di tremendi dolori ai reni e alla spina dorsale, di emicranie, di un'otite purulenta, di una copiosa caduta di capelli e di sintomi di paralisi, sintomi che lei cercava di tenere nascosti per non dover mostrare il proprio corpo al medico... lei stessa evitava di toccare o anche solo di guardare le parti che le dolevano perché era convinta della "impurità peccaminosa" del corpo in quanto tale e voleva che il suo corpo continuasse ad essere l'incontaminato "tempio dello Spirito Santo". I medici ad un certo punto decisero di intervenire chirurgicamente: "... l'operazione dell'ascesso ai reni, e l'applicazione di dodici bottoni di fuoco alla colonna spinale. Anche questa volta, però, Gemma non volle farsi addormentare, perché contenta di soffrire, e per poter vegliare da sé alla custodia del suo corpo". Gemma guarì e la notizia del "miracolo" si sparse per tutta la città. La ragazza continuava ad avere visioni, a fare continue penitenze fino al giorno della vigilia della festa del Sacro Cuore del 1899, quando ricevette dal Signore il marchio della santità: le stimmate, fenomeno che continuò a ripetersi ogni settimana fra giovedì e venerdì; due anni dopo provò anche il tormento della flagellazione e della corona di spine: "Sono momenti dolorosi ma momenti felici... Ieri Gesù mi fece soffrire tanto, sudai tutto il giorno sangue... Gesù mi raccomanda continuamente che non mi faccia accorgere di niente da quelli di casa mia, se no mi castiga". La voce che la giovane avesse le stimmate si sparse per la bigotta Lucca in breve tempo e le mani di Gemma divennero oggetto di morbose curiosità collettive. Ma sulla autenticità di questi fenomeni vi è più di qualche dubbio: è certo che Gemma torturava il proprio corpo con diversi strumenti... Padre Germano, il suo padre spirituale, riferì che la giovane "andava scalza, cioè senza calze, durante l'inverno. Portava il cilizio, finché non le fu proibito. Il padre Gaetano le tolse una corda tutta irta di bullette, che essa stessa si era composta. Io le tolsi un'altra corda con nodi e una disciplina di ferro"; la sua padrona di casa, signora Giannini, testimonierà: "Una volta l'ho trovata a terra svenuta con del sangue, ed accanto a lei vi era una disciplina di ferro... Due volte l'ho trovata cinta con una fune mentre ella era fuori dei sensi. Ho saputo da persone che l'hanno veduta, prima che stesse con me, legata con una fune con molti piccoli chiodi, che le erano entrati nella carne". Affetta da schizofrenìa, ossessionata dall'immagine di Cristo nudo e sanguinante, Gemma sublimava verso quell'immagine tutte le sue naturali pulsioni erotiche: "Mi posò le spine sul mio capo, cagione di tante pene al mio caro Gesù, e me la lasciò per più ore. Mi fece un po' soffrire, ma che dico soffrire, godere. E' un godere quel soffrire" e ancora: "Io brucio delle stesse fiamme, son legata dalle stesse catene. Stai pur lontano, Gesù: basta che non mi manchi mai il tuo amore... Il mondo sia pur fosco, non me ne importa nulla. Accendimi: il tuo amore mi basta. Vorrei che tutti mi dicessero che il tuo amore mi ha consumato. Amore, amore!"... Gemma era stata destinata fin dalla nascita a diventare santa e spese tutta la sua vita nel tentativo di veder riconosciuta la sua santità: se qualcuno metteva in dubbio l'autenticità delle sue visioni e delle sue esperienze mistiche, per lei era un dramma che la portava ad una sempre maggiore prostrazione fisica e psicologica e la spingeva sempre più a torturarsi nella convinzione che fosse necessario, appunto, per "diventare santa". Nel 1902 la ragazza si ammalò di tubercolosi, malattia che la portò alla morte, fra atroci sofferenze, l'11 aprile del 1903. Ma a coloro che volevano Gemma santa a tutti i costi non erano bastati i tormenti che la poveretta aveva subìto da viva: occorreva cercare qualche prova in più per dimostrare la santità della vergine lucchese: "Essa era già stata sepolta nella sua bara e calata nel sepolcro, quando un telegramma del padre Germano ricordò alla famiglia Giannini il disegno concepito di fare l'autopsia del cadavere per vedere se nel cuore di lei, come in quello di altre sante, si trovassero segni speciali e straordinari". Così si procedette alla riesumazione del cadavere di Gemma da cui venne estratto il cuore che fu tagliato in due parti, ma in esso non vi era niente di "speciale e straordinario". In seguito però alla pubblicazione dell'agiografia della santa ad opera di padre Germano intitolata Biografia della Serva di Dio Gemma Galgani, vergine lucchese e alla certificazione di alcuni miracoli operati post mortem, Gemma Galgani fu annoverata da Pio X, il 14 maggio del 1933, fra i beati della Chiesa e innalzata da Pio XII alla gloria degli altari il 2 maggio 1940.
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