«La Francia si rifiuta di riconoscere i propri errori, ancora una volta. E continua a emarginare generazioni di immigrati», ha scritto dopo l’uccisione di Nahel M., che aveva origini algerine, il quotidiano algerino in lingua araba El Khabar. E ancora: «Se Nahel fosse stato bianco con gli occhi azzurri, non sarebbe scappato (…) aveva paura. E se i passeggeri dell’auto fossero stati bianchi con gli occhi azzurri, il poliziotto non avrebbe pensato di sparare a bruciapelo», ha detto Zyed Krichen, direttore del quotidiano tunisino al-Maghreb. «Non si tratta solo del rapporto della polizia con i cittadini, ma anche del rapporto che questo paese (la Francia, ndr) ha con le generazioni di immigrati».
Secondo Zyed Krichen in Francia il sentimento di “hogra“, termine che nei dialetti maghrebini concentra in un’unica parola i concetti di disprezzo, esclusione, ingiustizia e oppressione, «è ancora molto presente».
Banlieue deriva dal latino medievale banleuca, cioè “bannum leucae”, “bando di una lega” e indicava in origine il diritto amministrativo esercitato sui territori che si trovavano solitamente a una lega di distanza dalla città, ma che non facevano parte della città. Con il passare del tempo è prevalso però il significato di banlieue inteso come “ban lieu”, ossia “luogo bandito”, escluso dalla cosiddetta società civile o luogo abitato da persone bandite o “banditi”.
Le periferie francesi sono state create alla fine dell’Ottocento per ospitare le grandi fabbriche e le classi lavoratrici. Sono cresciute rapidamente e spesso in modo disordinato, soprattutto negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale, quando il governo francese iniziò a occuparsi di edilizia popolare e a costruire, tra il 1945 e il 1975, migliaia di palazzine alla periferia delle città. Originariamente progettati per le famiglie della classe medio-bassa, questi luoghi erano anche fortemente politicizzati: erano cioè abitati dalla base dei movimenti operai, sostenuti da partiti e sindacati.
Con la crisi del modello industriale negli anni Ottanta, la perdita di forza sociale e politica della classe operaia, l’elevata disoccupazione e poi la fine del colonialismo francese, queste aree furono sempre più occupate da comunità di persone migranti a basso reddito. Come ha spiegato il professore di sociologia all’Università di Bordeaux François Dubet, con il tempo è venuto meno ciò che permetteva a questi quartieri «rossi» di restare ancora degli spazi interni alla società, compreso il fatto che molte delle persone che vi lavoravano erano anche le persone che ci vivevano. E questa trasformazione ha portato questi quartieri a ghettizzarsi, a diventare luoghi di esclusione.
Oggi circa il 57 per cento dei bambini che vivono nelle banlieue sono in condizione di povertà, i residenti hanno tre volte più probabilità di essere disoccupati, le scuole e le istituzioni sociali sono percepite come estranee e l’isolamento e la discriminazione razziale soprattutto da parte della polizia sono un problema reale.
«La discriminazione non è un fantasma: si misura», ha spiegato Dubet. I dati dicono che un giovane di origine straniera che vive in un quartiere difficile ha molte meno possibilità di un altro di trovare lavoro a parità di qualifiche e competenze. E dicono anche che le sue possibilità di essere fermato dalla polizia sono notevolmente superiori a quelle di un giovane bianco della classe media.
Lo scorso febbraio in Francia si è parlato molto della ricerca che il Consiglio rappresentativo delle associazioni delle persone nere (CRAN) ha presentato all’Assemblea nazionale. L’indagine misurava la percezione e l’esperienza della discriminazione nel paese ed è considerata significativa perché si basa sull’autopercezione e sul vissuto delle persone coinvolte. I dati hanno mostrato che il 91 per cento delle persone intervistate, dunque quasi la totalità, ha detto di essere stata vittima di discriminazione razziale. La maggior parte degli episodi segnalati è avvenuta nello spazio pubblico (41 per cento) o sul luogo di lavoro (31 per cento). E più della metà delle persone intervistate ha detto di avere difficoltà a ottenere un colloquio di lavoro o ad acquistare e affittare una casa.